Ho studiato molto il fumetto, ho letto numerosi saggi, ho letto fumetti.
Ed ho anche scritto in proposito. Vuoi che fosse per un forum, per un blog o per la tesi di laurea... ci ho prodotto anch'io qualcosa. Quando mi capita di rileggere mi vengono i brividi. Certo, qualche frase è ispirata da discorsi più ampi che ho approfondito su libri scritti da altri, ma la maggior parte delle parole e della punteggiatura è stata posta l'una dietro l'altra dalla sottoscritta. E resto a mia volta sorpresa non ricordando quanto sia piacevole ed interessante il testo che ho scritto.
Ho deciso di proporre qualche pezzetto anche sul blog.
Questo brano è un rimaneggiamento di altri testi che scrissi quando frequentavo il primo triennio dell'università, ed è a sua volta l'introduzione ad un ennesimo altro mio scritto sempre riguardante il fumetto come mezzo di comunicazione e di educazione.
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Spesso, la sera prima di
addormentarmi, o sul treno, o in metropolitana, leggo un albo a fumetti.
A volte, alla fine della lettura,
medito sul senso di quello che ho letto: ammiro le soluzioni grafiche dei
disegnatori e quelle narrative degli sceneggiatori, vado a riguardare le pagine
con le sequenze di maggior impatto emozionale, dopodiché chiudo l'albo e lo
ripongo con cura ...dove capita in attesa che mi venga voglia di riporlo
sull'apposito scaffale.
Io stessa, nel momento in cui
voglio comunicare qualcosa, vedo apparire nella mia mente le immagini come
fossero le vignette di un fumetto. Sequenza dopo sequenza.
In
una società come la nostra, abituata alla comunicazione di massa, ai messaggi
pubblicitari e non pubblicitari veicolati attraverso canali sempre più multimediali,
si sente dire spesso che si sta perdendo il senso della lettura: si leggono
pochi libri e pochissimo i quotidiani e in questa pochezza spicca il recente
fenomeno dei quotidiani distribuiti gratuitamente in alcune grandi città
d’Italia.
Questo
scenario è solo parzialmente negativo: infatti se da un lato si corre il
rischio di “disabituarsi” alla lettura pura e semplice a discapito di una
visione di insieme delle informazioni che ci giungono, dall’altro si impone un
affinamento delle capacità di “leggere il mondo”, ossia, come afferma Giovanni
Genovesi “recuperare in pieno l’etimo del termine lettura il cui significato si
è reso unilaterale nel tempo per ragioni storiche [....] che determinarono il
primato del linguaggio scritto su qualsiasi altra forma di comunicazione”.
Leggere significa quindi dare una struttura ad una serie di informazioni di per
sé anarchiche. In altre parole l’educazione deve portare a compimento il suo
fine ultimo, operando dei cambiamenti sociali educendo delle capacità dagli
educandi.
Il fumetto, come tutto il resto può o non può essere veicolo educativo al pari degli altri mezzi di comunicazione di massa.
Il fumetto, come tutto il resto può o non può essere veicolo educativo al pari degli altri mezzi di comunicazione di massa.
Attraverso il fumetto è possibile
portare avanti delle idee, delle posizioni, dei messaggi, nello stesso modo con
cui lo fanno i libri, i quotidiani, ma anche la televisione e la radio: può o
non può veicolare un certo tipo di messaggio al destinatario, a seconda delle
intenzioni del mittente, al pari degli altri mezzi di comunicazione di massa.
Importanti sono stati i rapporti
che il fumetto ha intrattenuto negli anni con gli altri linguaggi della
comunicazione di massa, in particolare con il cinema, del quale è considerato
quasi un possibile cugino e col quale si influenza vicendevolmente in un
piacevole incontro-scontro. La possibilità di sfruttare inquadrature dinamiche
e la stesura della sceneggiatura li rendono quasi complementari.
Probabilmente il fumetto nasce quando
l’uomo delle caverne, prima ancora che venisse inventata la scrittura, tentava
di riprodurre con disegni sulle pareti di roccia, le pareti della sua dimora,
le sue avventure di guerra e di caccia.
L’uomo imparò prima a disegnare e
poi a scrivere, o meglio imparò a scrivere attraverso il disegno, basti pensare
ai geroglifici egiziani. Insomma, arrivando ai giorni nostri, una lunga storia
di cui il fumetto, nella sua forma di espressione immediata e semplice è
riuscito ad essere frequentemente non solo un mezzo di comunicazione quasi
universale, ma anche una forma di espressione della cultura e della tradizione
dei suoi autori.
Il fumetto è teoria (la
narrazione) e pratica (il disegno) insieme. Il fumetto è arte invisibile[1].
Esso si basa sulla creatività del lettore persino più che sulla creatività
degli autori stessi, facendo leva sui punti
di forza narrativi ed utilizzando il margine
come suo elemento caratterizzante.
Ed è sì un mezzo di comunicazione,
ma anche un forte alleato dell’educazione. Può essere utilizzato all’interno di
percorsi pedagogici o come testo complesso da analizzare.
Per
definire il fumetto come strumento
educativo, mi avvarrò di parole non mie: “I temi affrontati in queste
pagine sono una piccola parte del grande tesoro nascosto nei meandri di una
forma narrativa che riesce a esprimere con la sua versatilità immagini,
sensazioni, pensieri, messaggi, conoscenze, saperi. Chi non ha mai letto
fumetti non è un lettore completo, e oggi può essere tranquillamente definito
analfabeta di un medium dei nostri giorni, come sta accadendo per l’informatica
e altre tecnologie che creano problemi a chi non le conosce.
Per un
insegnante non conoscere il fumetto non significa solo voler rinunciare a un
mezzo che potrebbe essergli di grande aiuto nella didattica, ma diventa anche
un problema di impossibilità di potersi confrontare integralmente con i propri
alunni poiché invece di porsi verso la conoscenza di altri linguaggi preferisce
nascondersi dietro ai pregiudizi. Del resto atteggiamenti di questo tipo sono
ricorrenti: è accaduto ai disegni animati, ai fumetti, ai videogiochi, a internet
e continuerà ad accadere a tutto ciò che per la scuola è nuovo e diverso. [...]
La civiltà si è raggiunta cambiando.
Tutto ciò che è nuovo è prodotto dalla civiltà. Per criticarlo o apprezzarlo
bisogna prima conoscerlo.”[2]
Queste
parole sono più che vere ed ho avuto il modo di rendermene conto di persona.
Mi trovavo
a casa di un’amica di mia madre. L’amica ha una figlia che allora frequentava
la prima media, ero lì in attesa del termine della chiacchierata delle due
mamme e mi offrii di darle una mano coi compiti. Tra un esercizio e l’altro,
scoprimmo alcuni interessi comuni nonostante gli anni di differenza. Tra
questi, alcune letture che anche io avevo fatto anni prima e l’intramontabile
produzione a fumetti Disney.
Doveva
analizzare alcune fiabe secondo le sfere
d’azione individuate da Propp ed era indecisa sull’assegnare alcuni ruoli a
certi personaggi. Sfogliai quel libro per ripassare quelle nozioni che quasi
avevo dimenticato. Erano anni che non prendevo in mano un libro di antologia. Era abbastanza diverso da
quello che utilizzai io in prima media. Sul mio libro non c’erano i fumetti.
Anzi, c’erano ma erano delle strisce molto vecchie e poco attuali, analizzate
nel peggior modo possibile e come se non fossero al medesimo livello di un
quotidiano, un libro di narrativa o una canzone. Le tavole che trovai su questo
nuovo libro di antologia, invece,
erano tavole molto recenti di nemmeno una decina di anni prima. Tra le tavole,
anche una tratta dall’albo PKNA#0 –
Evroniani.
La
ragazzina rimase colpita da come, guardando di sfuggita la tavola, le sapessi
dire anche chi fosse il disegnatore. Lessi le attività correlate e le trovai
interessanti e ragionate. Chi aveva realizzato quel libro aveva fatto delle
scelte oculate ed aveva integrato bene il fumetto con le altre forme narrative.
La
ragazzina mi disse che la professoressa aveva saltato quei capitoli dedicati al
fumetto perché non ne capiva nulla e non voleva metterci il naso.
Come è
possibile?
Quando
andavo alle scuole medie, la professoressa d’italiano raccomandava a tutti di
comprare il Giornalino e di leggerlo
in ogni sua parte: dalle rubriche della posta ai fumetti. E, soprattutto, di
leggere la Divina Commedia che in
quegli anni era pubblicata a puntate all’interno della rivista, sotto forma di
fumetto.
La
professoressa in questione non era però molto ferrata sull’argomento “fumetto”.
Era solo un modo per farci avvicinare alla letteratura attraverso l’immagine,
più facile e semplice da capire. Anche se anni fa non me ne rendevo conto.
Il fumetto
può essere il primo passaggio verso una lettura più impegnata ed impegnativa,
come l’esempio della Divina Commedia
a fumetti, ma se ne distacca e diventa un prodotto “difficile” se lo si vuole
analizzare di per sé, proprio come linguaggio specifico . Limitandosi
all’analisi del contenuto, l’individuazione delle sfere d’azione e la risposta a semplici domande può ritenersi
esaustiva; ma, se si vuol analizzare il fumetto ricercando figure retoriche ed
artifici letterari, si deve necessariamente analizzare il disegno e l’aspetto
grafico.
Che sia
questa duplicità del fumetto a spaventare gli insegnanti?
Forse no.
Forse quel che spaventa del fumetto è la sua forza di mettere in moto la
creatività che “diventa essenziale nei processi di ristrutturazione e
formazione di modelli altri perché
libera da prigioni concettuali, cambia i punti di vista.”[3] Insomma
mette in moto il cervello e favorisce il comprendere.
Date
queste premesse nei confronti del fumetto in quanto mezzo di comunicazione e
possibile alleato della didattica, ecco una bella “guida al comprendere” i
fumetti: curiosità, caratteristiche generali e inviti all’analisi.
Affinché
il fumetto possa essere apprezzato da tutti come mezzo di comunicazione educativo.
[1]
[2] Gianna Marrone, “Il fumetto tra pedagogia e racconto. Manuale di didattica dei comics a scuola e in biblioteca.”, Latina, Tunué, 2005.
Scott McCloud, “Capire il
fumetto. L’arte invisibile”
(ed. or. “Understanding comics. The invisible art”, Kitchen Sink Press,
1993), Torino, Vittorio Pavesio Production,
1996.
“Vedete quello spazio tra le vignette? È quello che nei fumetti si
chiama «margine». E, nonostante la semplicità del termine, il margine ospita
molta della magia e del mistero che sono nel cuore stesso dei Fumetti! Qui,
nel limbo del margine, l’immaginazione umana prende due immagini separate e
le trasforma in un’unica idea. Tra le due vignette non vediamo nulla, ma
l’esperienza ci dice che deve esserci qualcosa. [...] Ogni atto che il
disegnatore affida alla carta è aiutato e istigato da un complice muto. Un
socio paritario nel delitto noto come lettore. In quest’esempio posso aver
disegnato un’ascia che viene sollevata, ma non sono quello che l’ha lasciata
cadere o che ha deciso con quanta forza colpire, o chi ha gridato, o perché.
Quello, caro lettore, è stato il tuo crimine personale.”
[2] Gianna Marrone, “Il fumetto tra pedagogia e racconto. Manuale di didattica dei comics a scuola e in biblioteca.”, Latina, Tunué, 2005.
[3] Corso di Pedagogia e didattica dell’arte
A.A. 2006/2007 di Donella Di Marzio
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