Monday, July 9, 2012

Britannia High: che forza e che talento questi inglesi!

*consiglio vivamente di vedere i video man mano che li incontrate durante la lettura*


Britannia High, il titolo della serie e nome della scuola che i protagonisti frequentano. Il video appena osservato è la sigla iniziale. Purtroppo non ho trovato nulla di qualità migliore. Se doveste avere l'opportunità di ascoltare la canzone per intero (Start of Something), ne vale la pena perché è meravigliosa.
Questa serie televisiva ha una colonna sonora a dir poco fantastica, luce, colori, scene e inquadrature ben studiate e un gusto nel vestire i personaggi invidiabilissimo.
Avevo sentito (piuttosto, avevo letto) di una seconda stagione, ma a dir la verità non me ne sono più interessata nè mi è capitato di venirne a conoscenza. Trovo che questa stagione sia più che sufficiente da sola, senza seguiti. I personaggi sono ben studiati ed anche ben presentati nel corso delle 11 puntate, non c'è necessità di un seguito per svelare misteri segreti o per allungare il brodo!
La modalità della presentazione dei personaggi è simile a Skins (serie che ho adorato e sulla cui scia d'entusiasmo mi sono appassionata a Britannia High): ogni puntata si focalizza su uno dei protagonisti analizzandone a fondo la famiglia, lo stile di vita, le relazioni, la scuola ed anche una introspettiva nelle sue scelte per il futuro. Parallelamente, ovvio, continua a svolgersi tutta la vicenda cui prendono parte tutti i protagonisti.
Il classico gruppetto: la bionda, la bruna, la mulatta e il brunetto, il biondino omosessuale, il nero.
In Inghilterra si porta, a quanto pare. Il medesimo schema c'è anche in Skins.
Dai tempi della mia prima visione di Skins sono diventata una fan delle TeenieSerie (serie televisive adolescenziali, in italiano? Beh, ci accontentiamo del termine tedesco, a me sembra calzi a pennello), e non si tratta di molto tempo fa. Però, ricordo di aver con piacere dato uno sguardo anche a Secret Life of American Teenager e Türkisch für anfänger in televisione ed averle riguardate in seguito con calma.

Il video appena visto è per provare la qualità e l'attenzione per le scene, i costumi e tutto il resto. E per lo stesso motivo guardiamo anche il prossimo:

Ovviamente ogni singolo attore ha un proprio stile (musicale, di utilizzo della voce, e anche di danza), che non so se sia solo del personaggio o anche dovuto alle peculiarità dell'attore, che lo definisce e lo rende riconoscibile all'interno della vicenda.
Il mio personaggio preferito è il biondino del video seguente. Credo che (tra i ragazzi) sia quello con la voce più potente ed estesa... e non a caso il suo personaggio è quello che aspira a diventare un compositore (o si dice componista? Insomma, scrivere e comporre opere musicali... mah, la mia ignoranza in materia è terribile!).
Dunque, questo video è tratto dal momento in cui c'è lo scontro coi genitori, o meglio dir col padre, che lo vorrebbe studente di business e poi a dirigere chissà quale compagnia.

Altra piccola riflessione. Ennesimo confronto con altre serie. Ultimamente guardo principalmente serie statunitensi o inglesi.
Devo dire, le serie inglesi sono molto più curate ed hanno un gusto ed uno stile ricercati, non a caso. Le serie d'oltreoceano invece, sebbene abbiano attori famosi, produzioni conosciute, i meglio ritrovati della tecnica... mancano di gusto. Intendo dire, l'Europa per quanto riguarda il prodotto finito è avanti.
L'America fa meglio solo i film. (mah, ci sono solo più persone e più soldi)
Però per le serie, quelle europee sono ancora un pochino migliori.
Per quanto riguarda le voci e gli accenti, Britannia High è molto più fruibile di Skins. Con Skins mi viene il nervoso.
In realtà la cosa migliore è quando gli inglesi recitano in produzioni americane con un accento meno britannico e più "commerciale". Ma, mai far falsare l'accento britannico ad un americano. Per favore.
Chiudiamo con un altro bel video.


Ah, sì... Quasi dimenticavo: la figata di questa serie è che è una specie di musical... si era capito, no?

Saturday, July 7, 2012

Codici a barTe

Conoscete quei quadratini simpatici fatti di puntini, altrimenti conosciuti anche come codici a barre? Non esattamente quelli fatti di lineette come i cari vecchi codici sui pacchi di pasta del supermercato, ma quelli di forma quadrata che inizialmente erano sui biglietti aerei o dei treni che stampavi a casa dopo aver acquistato il tuo viaggio online.
Quegli stessi quadretti che, se hai uno smartphone, potevi mostrare all'entrata prima di salire sull'aereo direttamente dallo schermo del telefono ed un apparecchio dell'aereoporto era in grado di farne una scansione.
Ebbene, da un po' di tempo a questa parte funziona anche il procedimento inverso. O forse era già possibile ma io non lo sapevo.
Trovi un quadratino per strada, gli fai una foto con lo smartphone e via a scoprire quale segreto si cela dietro quei puntini.
Adesso, ci sono due occasioni che mi portano a scrivere qualche riga in proposito.
La prima occasione, una mostra. Il 26 giugno 2012 si è tenuta Test Wall, una piccola mostra-esame degli studenti di fotografia della classe del professor Rehm (http://www.fotoklasse-rehm.de), Accademia di Belle Arti di Monaco di Baviera. Sono andata con degli amici a dare un'occhiata. Vi erano dei lavori degni di nota, alcuni che li guardi e pensi che siano cose già fatte, altri che non si fanno neanche notare.
E nell'ambito di questa mostra, c'era un lavoro che mi ha fatto riflettere.
Si tratta di queste fotografie:
Esatto.
Sono tre codicini a barre da smartphone incorniciati.
Ovviamente non si tratta solo di codici, se vengono fotografati con lo smartphone si riceve la fotografia vera, o comunque quella che siamo più abituati a ritenere tale.
Per il lavoro completo con le foto, e per vedere anche il portfolio dell'autrice, vi rimando al suo sito: KATARINA SOPČIĆ (codici a barre: http://cargocollective.com/katarinasopcic/the-undefined-feeling).
Interessante riflessione, vero?
L'evento che mi ha però spinto a voler trattare questo argomento è un altro. La pubblicità.
In genere i cartelloni pubblicitari, per rimandare alla ricerca di ulteriori informazioni, riportano una frase del tipo "Mehr Info unten:" e un sito web, numero di telefono, indirizzo, qualsivoglia altro recapito. Sì, ormai credo poter dire che oltre a queste informazioni più classiche, nel 98% dei casi c'è anche quel famigerato codice a barre.
Di recente però ho notato un particolare: numero di telefono, sito web, altre informazioni... non ci sono più! Mi sono già capitati sotto gli occhi 3-4 manifesti senza rimandi alla ricerca di informazioni, ma con il codicino in un angolino, pronto per la scansione.
E la cosa si è fatta quasi insopportabile adesso che sono giorni che vedo un manifesto, cerco di ricordarmi le parole chiave ma... ogni qualvolta che voglio rivolgermi alla ricerca online per avere informazioni in proposito, dimentico cosa esattamente devo cercare!
In alto c'è scritto SUMMER e altre due parole, sotto una frase in cui si dice che questa estate appartiene ai grandi e vi sono dei nomi di alcuni musicisti. Ho provato a inserire queste frasi ma in ricerca ma nulla di fatto.
In basso a sinistra c'è il codice e una frase: "Fotografa il codice, e scopri i dettagli." (ovviamente in tedesco)
E chi non ha uno smartphone?! Mi sento tagliata fuori.
Credo si tratti di un festival musicale, o magari di un programma radio. Ma perchè non posso sapere anche io di che si tratta invece di pippeggiarmi?
Probabilmente sul mio cellulare sarebbe installabile un lttore di codici, peccato che per uno strano motivo non ben chiaro non ci si riesce ad installare proprio nulla, neanche il programma apposito fi facebook, twitter e cose simili! -.-'
Che cellulare ho? Uno smartphone. Un Blackberry. E non funziona se non come cellulare normale e come navigazione wap. Che tristezza.
E il bello è che queste cose non ci sono solo qui, in Germania. Ho trovato informazioni interessanti anche per quanto riguarda iniziative in Italia: turismo via codice.
Adesso vorrei invitare alla discussione riguardo l'utilizzo di questi codici. Sono certamente una cosa interessante ed innovativa. Ma davvero è il caso non menzionare neanche un sito web o un numero telefonico, in favore del solo affidarsi al codice? Siamo già così avanti? Sono io e pochi altri sfigati i soli ad essere tagliati fuori?




Thursday, July 5, 2012

Colori e inquadrature

Ho deciso, prima di addormentarmi, di fare un giro su deviantart a guardare qualche bella foto.
Ne ho trovate alcune piuttosto belle, con dei colori e contrasti mozzafiato... quindi gente, prepararsi a una carrellata di foto prese a caso secondo il mio gusto da utenti vari di deviantart. La scelta è fatta piuttosto casualmente, da link di link, prendendo quel che mi colpisce al momento!


...and breathe out by `Gwarf on deviantART
 
Joshua - Stored Away by *PetboyJoshua on deviantART
 
Clouds by ~moonshack on deviantART
 



Buccaneer Island by `foureyes on deviantART
 
Big hole by =WojciechDziadosz on deviantART
 
Stories to Tell III by ^IsacGoulart on deviantART
 
summer love by ~lenaih on deviantART
 
Grass in sunset by ~marschall196 on deviantART
 
.12.07.05. by ~TOK5 on deviantART
 
Deviously Denied! by *candysamuels on deviantART

Gossip Girl: secondo giro d'opinioni

Fa un caldo da morire qui. E dunque non oso immaginare in Italia come se la passino: di solito si evapora direttamente senza neanche squagliarsi, eh?!
Una passeggiata sarebbe l'ideale, ma il solo movimento per dar aria ai polmoni mi fa accaldare troppo. Figurarsi di camminare o pedalare!
Detto ciò, per non annoiarsi troppo è bene distrarsi scrivendo qualche pensiero ed opinione. Nuovamente su Gossip Girl.
Ho visto le puntate fino a poco più avanti della metà della quinta stagione. Seguendo twitter ho letto qualcosina simpatica sull'inizio delle riprese della sesta, che sarà anche la stagione d'epilogo. Non mi spiace: non vedo l'ora di sapere come vada a finire!
Ci tengo a precisare d'essere entusiasta di questa serie televisiva. Sì, capisco che sia tratta da un libro e che dunque questa versione anno 2000 del Grande Fratello (sì, c'era un libro in proposito che fu scritto da George Orwell, 1984... scritto nel 1948) sia creatura del genio letterario che ha scritto il libro, ma non avendo io letto il libro non posso scindere i vari meriti tra serie TV e narrativa. Quindi, vuoi che sia merito dell'autrice dei libri, vuoi che sia merito dello staff televisivo... a me questo prodotto da schermo piace.
L'idea di questo Grande Fratello (insomma Gossip Girl) che sa tutto, osserva tutto, finge di non giudicare ma in realtà lo fa è interessante, e tutto l'universo che vi è intorno è ben costruito e funziona bene.
Se non si trattasse di ricconi che danno feste ed il cui nome sia stato letto da qualche parte un po' da chiunque, forse non avrebbe avuto lo stesso successo. Ed il fatto che i protagonisti dei pettegolezzi frequentino la stessa scuola ha senso, perché così si crea un target di lettori che conoscono (anche se magari solo di vista) i protagonisti degli articoli.
Ed infatti, terminato il liceo, invce di occuparsi degli alunni rimasti a scuola, tentando di seguire all'università i vecchi protagonisti, GG ha un piccolo declino o diventa semplicemente un escamotage per spingere qualche situazione che altrimenti non avrebbe forse neanche avuto luogo. Ha senso. Apprezzo quando ci si pongono domande e le si risponde in modo intelligente.
Poiché tratta di ricconi, GG mi ha sempre fatto pensare dall'inizio a Hanayori Dango, un fumetto giapponese di Yoko Kamio. Anche lì, scuola frequentata solo da ricconi, e per strani motivi tra questi ricconi riescono ad accedere alla scuola un paio di proletari (in GG solo i fratelli Humphry sono più poveri, ma neanche troppo). In GG però se c'è una domanda ci si trova una risposta, se c'è una incongruenza prima o poi si scopre che sotto c'era uno scandalo che però è stato infangato... ed i personaggi sono umani e studiati.
Nel fumetto citato i soldi sono solo una scusa ed un espediente per tirare alle lunghe la storia. Un fumetto bellissimo e che consiglio a tutti (io l'ho adorato), ma più infantile e con meno riflessioni dietro la stesura dell'opera. Questo intendo.
C'è da fare anche un altro parallelo. In Hanadan la protagonista è una, povera e sfigata, con comprimari/antagonisti un gruppo di ragazzi (tutti uomini) superbelli e super ricchi. In GG le principali attrici sono due ragazze, ed in genere a tutto il gruppo principale è dato sufficiente spazio. Il protagonista non è uno, ma un gruppo.
Nel post che ho scritto in precedenza riguardo GG, dicevo qualche mia opinione sui personaggi. Adesso vorrei aggiungere dell'altro.
Partiamo da Dan Humphry. Io lo trovo troppo vuoto. In realtà non è il personaggio a non essere approfondito. E' che non c'è niente da approfondire. Una lista di stereotipi che cammina. Lo reputo uno stupido. Inizialmente facevo il tifo per lui perché mi faceva piacere che Serena fosse felice, ma in seguito mi è risultato solo antipatico. Tutte che gli sbavano dietro. Ma perché? Capisco che sia bono, ma non mi sembra questo sfavillante ragazzo che tutte possano desiderare al fianco se non per una notte di follie.
Nate Archibald lo chiamano tutti bravo ragazzo. A me sembra solo che ragioni il 90% del tempo con la testa inferiore e sia un finto ingenuo. Però va benissimo perché riveste principalmente ruoli da comprimario anche quando in teoria è il protagonista della vicenda. E' un personaggio meno forte (intendo come impronta al tutto).
Chuck Bass. Il re. E' lui il vero protagonista della serie.
Blair Waldoorf, adorabile e perfetta. Il mio personaggio femminile preferito sin da subito.
Serena Van der Woodsen non la stimo principalmente. Le due protagoniste (Blair e Serena) stanno benissimo insieme, per cui se io sono bandiera-Blair non posso essere bandiera-Serena. Anche se con le ultime scelte della stagione cinque Blair lascia un po' a desiderare...
Una cosa insopportabile di Serena è che si fa troppe pippe, agisce poco e quando fa qualcosa scappa... e se prova a non scappare (cosa che inizia a fare solo dalla quinta stagione) non fa altro che rovinare tutto. Che pasticciona!
Jenny e Eric? Mah, ad un certo punto spariscono. Vanessa idem. E ora ci sono le due Charlie, volevo dire Lola e Heidi... (o forse è Ivy, mi sembra fosse scritto così sul biglietto del teatro)
Una cosa simpatica è che ho nonotato che il doppiatore di Chuck ha doppiato Shinji Ikari di Evangelion. Fico. Però Chuck ha molto più fascino nella versione originale, con voce di Ed Westwick.
Blair e Serena non mi piace molto la voce che hanno nella versione originale. Blake Lively (Serena) ha una voce troppo da ragazzina, mentre nella versione italiana ha un tono più da giovane donna... la trovo migliore e più in sintonia col personaggio. Per Blair preferisco l'italiana ma quella originale non è tanto male!
Dan in italiano mi piace perché quando parla sembra sempre un po' scemo. In inglese invece ha una voce a dir poco fantastica e molto sexy (che stanno bene con l'attore perché è un bel ragazzuolo, ma non stanno bene col personaggio perché il personaggio è un idiota!).
Di Nate ho guardato solo pezzettini di video in tedesco quindi non saprei fare paragoni di voci tra italiano e inglese... ho trovato tanti spezzoni Blair-Chuck ma null'altro.
Del doppiaggio tedesco meglio evitare di parlare ^^
Chuck ha la voce dell'unico doppiatore tedesco meno peggio, tutti gli altri sono fatti a turno dai soliti altri 2 non bravi. Idem le donne. Blair e Serena hanno due doppiatrici (credo) e il resto se ci sono 5 femmine in scena le doppia la stessa persona (e se inquadrano Chuck mentre le 5 gli parlano, sembra che solo una abbia fatto un monologo LOL).
Personalmente trovo impossibile seguire un film o una serie in tedesco (se è doppiata), perché la carenza di doppiatori rende impossibile capire chi ha detto cosa. Per non parlare della mancanza di sincronia tra bocca aperta e bocca chiusa che spesso avviene!
Anche per questa volta ho sfogato abbastanza le mie idee. Restate sintonizzati per le prossime opinioni :)

Se vuoi recuperare qualcosa devi chiederti perché l'hai fatta sparire

Se vuoi recuperare qualcosa devi chiederti perché l'hai fatta sparire.
E se la risposta è che vuoi continui ad essere sparita, allora bene: non devi recuperarla.
Sono giunta a questa conclusione mentre scendevo la lista dei post del mio vecchio blog. Adesso nessuno può più visitarlo. Non l'ho cancellato ma l'ho resto nascosto e non vi si può accedere se non tramite il mio account.
Perché mai?
Ormai era diventato una specie di monumento commemorativo della - chiamiamola così - mia vecchia vita e vetrina di tutte le esperienze che mi hanno segnata dal 2005 in poi.
Scorrevo la lista dei post pensando che forse tra i vari post vi erano anche degli articoli interessanti da riproporre su questo blog affinché sia ancora possibile leggerli. Ma la cosa non è così semplice perché ho sempre avuto l'abitudine di non mettere le etichette in modo sistematico e perché i titoli dei post quasi mai avevano a che fare col contenuto.
Quel blog è davvero un diario. Adesso vorrei concentrarmi principalmente sulla mia ricerca artistica, su informazioni interessanti da commentare e divulgare, e sul fumetto e l'arte.
Certo, i miei pensieri e la mia vita sono e saranno sempre un elemento insostituibile e basilare per quel che raccoglierò qui sopra, ma penso di voler avere una linea di azione più professionale e tematica.
Speriamo di riuscirci.

Tuesday, July 3, 2012

Saggistica e Opinioni - Qualcosa che scrissi sul fumetto

Spulciando tra le cartelle del computer, cercando di fare pulizia eliminando - se mai ci riuscissi - vecchi file, ho trovato alcuni file word piuttosto interessanti.
Ho studiato molto il fumetto, ho letto numerosi saggi, ho letto fumetti.
Ed ho anche scritto in proposito. Vuoi che fosse per un forum, per un blog o per la tesi di laurea... ci ho prodotto anch'io qualcosa. Quando mi capita di rileggere mi vengono i brividi. Certo, qualche frase è ispirata da discorsi più ampi che ho approfondito su libri scritti da altri, ma la maggior parte delle parole e della punteggiatura è stata posta l'una dietro l'altra dalla sottoscritta. E resto a mia volta sorpresa non ricordando quanto sia piacevole ed interessante il testo che ho scritto.
Ho deciso di proporre qualche pezzetto anche sul blog.
Questo brano è un rimaneggiamento di altri testi che scrissi quando frequentavo il primo triennio dell'università, ed è a sua volta l'introduzione ad un ennesimo altro mio scritto sempre riguardante il fumetto come mezzo di comunicazione e di educazione.

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 Spesso, la sera prima di addormentarmi, o sul treno, o in metropolitana, leggo un albo a fumetti.
A volte, alla fine della lettura, medito sul senso di quello che ho letto: ammiro le soluzioni grafiche dei disegnatori e quelle narrative degli sceneggiatori, vado a riguardare le pagine con le sequenze di maggior impatto emozionale, dopodiché chiudo l'albo e lo ripongo con cura ...dove capita in attesa che mi venga voglia di riporlo sull'apposito scaffale.
Io stessa, nel momento in cui voglio comunicare qualcosa, vedo apparire nella mia mente le immagini come fossero le vignette di un fumetto. Sequenza dopo sequenza.
In una società come la nostra, abituata alla comunicazione di massa, ai messaggi pubblicitari e non pubblicitari veicolati attraverso canali sempre più multimediali, si sente dire spesso che si sta perdendo il senso della lettura: si leggono pochi libri e pochissimo i quotidiani e in questa pochezza spicca il recente fenomeno dei quotidiani distribuiti gratuitamente in alcune grandi città d’Italia.
Questo scenario è solo parzialmente negativo: infatti se da un lato si corre il rischio di “disabituarsi” alla lettura pura e semplice a discapito di una visione di insieme delle informazioni che ci giungono, dall’altro si impone un affinamento delle capacità di “leggere il mondo”, ossia, come afferma Giovanni Genovesi “recuperare in pieno l’etimo del termine lettura il cui significato si è reso unilaterale nel tempo per ragioni storiche [....] che determinarono il primato del linguaggio scritto su qualsiasi altra forma di comunicazione”. Leggere significa quindi dare una struttura ad una serie di informazioni di per sé anarchiche. In altre parole l’educazione deve portare a compimento il suo fine ultimo, operando dei cambiamenti sociali educendo delle capacità dagli educandi.
Il fumetto, come tutto il resto può o non può essere veicolo educativo al pari degli altri mezzi di comunicazione di massa.
Attraverso il fumetto è possibile portare avanti delle idee, delle posizioni, dei messaggi, nello stesso modo con cui lo fanno i libri, i quotidiani, ma anche la televisione e la radio: può o non può veicolare un certo tipo di messaggio al destinatario, a seconda delle intenzioni del mittente, al pari degli altri mezzi di comunicazione di massa.
Importanti sono stati i rapporti che il fumetto ha intrattenuto negli anni con gli altri linguaggi della comunicazione di massa, in particolare con il cinema, del quale è considerato quasi un possibile cugino e col quale si influenza vicendevolmente in un piacevole incontro-scontro. La possibilità di sfruttare inquadrature dinamiche e la stesura della sceneggiatura li rendono quasi complementari.
Probabilmente il fumetto nasce quando l’uomo delle caverne, prima ancora che venisse inventata la scrittura, tentava di riprodurre con disegni sulle pareti di roccia, le pareti della sua dimora, le sue avventure di guerra e di caccia.
L’uomo imparò prima a disegnare e poi a scrivere, o meglio imparò a scrivere attraverso il disegno, basti pensare ai geroglifici egiziani. Insomma, arrivando ai giorni nostri, una lunga storia di cui il fumetto, nella sua forma di espressione immediata e semplice è riuscito ad essere frequentemente non solo un mezzo di comunicazione quasi universale, ma anche una forma di espressione della cultura e della tradizione dei suoi autori.
Il fumetto è teoria (la narrazione) e pratica (il disegno) insieme. Il fumetto è arte invisibile[1]. Esso si basa sulla creatività del lettore persino più che sulla creatività degli autori stessi, facendo leva sui punti di forza narrativi ed utilizzando il margine come suo elemento caratterizzante.
Ed è sì un mezzo di comunicazione, ma anche un forte alleato dell’educazione. Può essere utilizzato all’interno di percorsi pedagogici o come testo complesso da analizzare.
Per definire il fumetto come strumento educativo, mi avvarrò di parole non mie: “I temi affrontati in queste pagine sono una piccola parte del grande tesoro nascosto nei meandri di una forma narrativa che riesce a esprimere con la sua versatilità immagini, sensazioni, pensieri, messaggi, conoscenze, saperi. Chi non ha mai letto fumetti non è un lettore completo, e oggi può essere tranquillamente definito analfabeta di un medium dei nostri giorni, come sta accadendo per l’informatica e altre tecnologie che creano problemi a chi non le conosce.
Per un insegnante non conoscere il fumetto non significa solo voler rinunciare a un mezzo che potrebbe essergli di grande aiuto nella didattica, ma diventa anche un problema di impossibilità di potersi confrontare integralmente con i propri alunni poiché invece di porsi verso la conoscenza di altri linguaggi preferisce nascondersi dietro ai pregiudizi. Del resto atteggiamenti di questo tipo sono ricorrenti: è accaduto ai disegni animati, ai fumetti, ai videogiochi, a internet e continuerà ad accadere a tutto ciò che per la scuola è nuovo e diverso. [...] La civiltà si è raggiunta cambiando. Tutto ciò che è nuovo è prodotto dalla civiltà. Per criticarlo o apprezzarlo bisogna prima conoscerlo.[2]
Queste parole sono più che vere ed ho avuto il modo di rendermene conto di persona.
Mi trovavo a casa di un’amica di mia madre. L’amica ha una figlia che allora frequentava la prima media, ero lì in attesa del termine della chiacchierata delle due mamme e mi offrii di darle una mano coi compiti. Tra un esercizio e l’altro, scoprimmo alcuni interessi comuni nonostante gli anni di differenza. Tra questi, alcune letture che anche io avevo fatto anni prima e l’intramontabile produzione a fumetti Disney.
Doveva analizzare alcune fiabe secondo le sfere d’azione individuate da Propp ed era indecisa sull’assegnare alcuni ruoli a certi personaggi. Sfogliai quel libro per ripassare quelle nozioni che quasi avevo dimenticato. Erano anni che non prendevo in mano un libro di antologia. Era abbastanza diverso da quello che utilizzai io in prima media. Sul mio libro non c’erano i fumetti. Anzi, c’erano ma erano delle strisce molto vecchie e poco attuali, analizzate nel peggior modo possibile e come se non fossero al medesimo livello di un quotidiano, un libro di narrativa o una canzone. Le tavole che trovai su questo nuovo libro di antologia, invece, erano tavole molto recenti di nemmeno una decina di anni prima. Tra le tavole, anche una tratta dall’albo PKNA#0 – Evroniani.
La ragazzina rimase colpita da come, guardando di sfuggita la tavola, le sapessi dire anche chi fosse il disegnatore. Lessi le attività correlate e le trovai interessanti e ragionate. Chi aveva realizzato quel libro aveva fatto delle scelte oculate ed aveva integrato bene il fumetto con le altre forme narrative.
La ragazzina mi disse che la professoressa aveva saltato quei capitoli dedicati al fumetto perché non ne capiva nulla e non voleva metterci il naso.
Come è possibile?
Quando andavo alle scuole medie, la professoressa d’italiano raccomandava a tutti di comprare il Giornalino e di leggerlo in ogni sua parte: dalle rubriche della posta ai fumetti. E, soprattutto, di leggere la Divina Commedia che in quegli anni era pubblicata a puntate all’interno della rivista, sotto forma di fumetto.
La professoressa in questione non era però molto ferrata sull’argomento “fumetto”. Era solo un modo per farci avvicinare alla letteratura attraverso l’immagine, più facile e semplice da capire. Anche se anni fa non me ne rendevo conto.
Il fumetto può essere il primo passaggio verso una lettura più impegnata ed impegnativa, come l’esempio della Divina Commedia a fumetti, ma se ne distacca e diventa un prodotto “difficile” se lo si vuole analizzare di per sé, proprio come linguaggio specifico . Limitandosi all’analisi del contenuto, l’individuazione delle sfere d’azione e la risposta a semplici domande può ritenersi esaustiva; ma, se si vuol analizzare il fumetto ricercando figure retoriche ed artifici letterari, si deve necessariamente analizzare il disegno e l’aspetto grafico.
Che sia questa duplicità del fumetto a spaventare gli insegnanti?
Forse no. Forse quel che spaventa del fumetto è la sua forza di mettere in moto la creatività che “diventa essenziale nei processi di ristrutturazione e formazione di modelli altri perché libera da prigioni concettuali, cambia i punti di vista.”[3] Insomma mette in moto il cervello e favorisce il comprendere.
Date queste premesse nei confronti del fumetto in quanto mezzo di comunicazione e possibile alleato della didattica, ecco una bella “guida al comprendere” i fumetti: curiosità, caratteristiche generali e inviti all’analisi.
Affinché il fumetto possa essere apprezzato da tutti come mezzo di comunicazione educativo.


[1]
Scott McCloud, “Capire il fumetto. L’arte invisibile” (ed. or. “Understanding comics. The invisible art”, Kitchen Sink Press, 1993), Torino, Vittorio Pavesio Production, 1996.
“Vedete quello spazio tra le vignette? È quello che nei fumetti si chiama «margine». E, nonostante la semplicità del termine, il margine ospita molta della magia e del mistero che sono nel cuore stesso dei Fumetti! Qui, nel limbo del margine, l’immaginazione umana prende due immagini separate e le trasforma in un’unica idea. Tra le due vignette non vediamo nulla, ma l’esperienza ci dice che deve esserci qualcosa. [...] Ogni atto che il disegnatore affida alla carta è aiutato e istigato da un complice muto. Un socio paritario nel delitto noto come lettore. In quest’esempio posso aver disegnato un’ascia che viene sollevata, ma non sono quello che l’ha lasciata cadere o che ha deciso con quanta forza colpire, o chi ha gridato, o perché. Quello, caro lettore, è stato il tuo crimine personale.”


 [2] Gianna Marrone, “Il fumetto tra pedagogia e racconto. Manuale di didattica dei comics a scuola e in biblioteca.”, Latina, Tunué, 2005.

[3] Corso di Pedagogia e didattica dell’arte A.A. 2006/2007 di Donella Di Marzio